Durante una stagione agonistica arriva sempre la primavera, e nonostante sia un bel momento meteorologico, non lo è quasi mai per una squadra. Nello sport che cerco di insegnare, partecipano tante squadre ma ne vincono molto poche e le altre si dedicano a raccoglieri i cocci di una stagione che non è andata fino in fondo; si passano gli ultimi mesi ad ascoltare gli scontenti perchè non hanno vinto oppure gli scontenti perchè non hanno giocato quanto vorrebbero, oppure gli scontenti perchè … perchè questa è la nostra (scarsa) cultura sportiva, “tutto lo sport è paese” e tutti siamo allenatori migliori di chi allenatore lo è davvero.
Lo sport è scuola di vita, e la mia vita sportiva, che per inciso non mi ha regalato agonismo ad altissimo livello, mi ha comunque donato due grandi qualità: perseveranza e sacrificio. Questi sono due aspetti cardini nel mio lavoro di allenatore e cerco con tutto me stesso di e di trasmetterle a chi lavora con me. Non è cosi facile come sembra.
Da ragazzo ho avuto la fortuna di avere un aiuto nella figura di mio padre, che piuttosto che farmi saltare un allenamento ci sarebbe andato lui; mi ha insegnato la sacralità di un impegno preso con altri, mi ha insegnato a credere in me stesso e non aspettarmi che qualcuno lo faccia al posto mio. Noto, invece, nelle mie allieve che questa importante sponda non è una costante universale.
Lo sport di squadra ha tanti pregi ma anche tanti difetti, uno di questi, e forse il più grande è che si conta sulla presenza di tutti per far funzionare allenamenti e gare, la buona riuscita di una stagione non può non passare da questo cardine chiamato presenza; ho sentito e visto tante volte genitori molto seri nel rispettare questo credo cedere al più classico dei classici: “una gita fuori porta non uccide nessuno”, non considerando l’insidia educativa che è nascosta dietro una innocente gita: l’alibi.
Ho visto e sentito centinaia di motivazioni per una assenza, alcune anche oggettivamente comprensibili, ma che rimangono personali e in quanto tali egoistiche e che non tengono conto di un concetto basilare: se concendi una eccezione, anche una soltanto, allora dovrai concederla a chiunque e sarà anarchia. Esagerato? si, lo so che si può pensare. Nel mio metodo di insegnamento amo semplificare concetti complicati con immagini che li rendano immediati e semplici: immagianiamo ad esempio un castello di carte quando cade una carta…. spesso cadono tutte.
L’alibi è l’insidia più grande che come allenatore combatto giornalmente nella mia palesta, creare un alibi autorizza alla rinuncia e se si rinuncia a vincere una palla, allora l’atleta potrà rinunciare a vincere un set, a vincere una gara, un campionato o una stagione… l’alibi è un virus pericoloso. Provare a vincere sempre, in qualsiasi condizione, ma non con qualisiasi mezzo, costruisce un sistema nella mente dell’atleta: “se provo posso riuscirci”.
D’altra parte esistono gli adulti, ed esistono esigenze con le quali l’equibibrio nella gestione famigliare deve fare i conti; legittimo. Per questo non è importante se alla fine la gita fuori porta c’è o ci sarà, quello che importa è vedere il giovane combattere per rimanere a fare sport, provare ad esserci, combattere l’alibi come cultura.
“L’atleta è un momento, la persona è per sempre”.